Il cielo sopra Morulem

Una delle prime cose che ho notato arrivando a Morulem è la vastità. Quasi una sostanza più che un attributo. Davvero l'occhio si perde partendo dal primo albero, andando a quello dietro, alla foresta, alle radure oltre, alle altre foreste, fino ad arrivare là in fondo, dove tutto è azzurro e sembra davvero di guardare distese di foglie d'acqua. Da azzurro ad azzurro, lì si sale con lo sguardo in cielo, movimentato da grandi nuvoloni, sperando di trovarli bianchi e placidi piuttosto che grigi, scuri e carichi d'acqua, specialmente se si è in viaggio. Con migliaia e migliaia di chilometri quadrati proiettati su un paio di infime retine, è facile trovare un punto in cui ci sia temporale. E se è l'ora giusta, quella in cui il sole s'abbassa, magari si copre dietro una di quelle placidi nubi di cui sopra, si potranno vedere i fulmini in un'inedita tinta arancione. Niente di inspiegabile naturalmente, niente che non stia negli schemi. Di certo però non sono gli schemi a rovinare il piacere della sorpresa. Comunque è chiaro che le tempeste aspettano che il sole tolga il disturbo per dare il meglio di sé: per un po' si potrebbe pensare che l'Africa ha un'irrefrenabile passione per i rave parties e i concerti rock, e se c'è qualcosa su cui non si risparmia sono le luci di scena. Di sicuro le luci stroboscopiche più impressionanti che abbia mai visto. C'è invece qualcos'altro la cui potenza potrebbe risultare indebolita dal fatto di essere molto più prevedibile, quasi scontata. Eppure di nuovo l'attesa viene travolta da quel momento in cui i muscoli del collo si contraggono e fanno roteare la testa per la prima volta verso la volta, quella celeste. Per la prima volta mi sembra davvero un “soffitto”, con così tante luci, così grandi, da premere sul petto e togliere il respiro. È molto alto il rischio di lasciarsi andare a parafilosofia da quattro soldi guardando un cielo così, pieno di segni e forme tutte diverse da quelle di casa, e poi l'immensa via Lattea, la galassia... mi tratterrò. Scriverò solo di come l'atterrimento iniziale lascia spazio quasi subito a una sottilissima attrazione, tanto che il movimento di esplorazione e meraviglia degli occhi e della testa è subito seguito da quello del braccio e della mano, che si stendono nell'evidentemtente vano tentativo di afferrare, di toccare, di collegare. Un tentativo di cui nessuna laurea può farti vergognare.

Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:

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