Sonneau

Questo post fa parte della miniSeria "Viaggi di solo ritorno". Per cominciare dall'inizio vai qui.

“OH MY GOD WE'RE FLYING!!!!”

L'entusiasmo della bimba al suo battesimo dell'aria non riesce a strapparmi dal senso di torpore che mi pervade da quando son passato sotto al metal detector, e con un sorriso cado in un sonno tutto sommato non così profondo, assediato com'è dalla luce, dal ronzio dei motori e dall'andirivieni di hostess e passeggeri. D'altro canto in qualche modo dormire è l'unica speranza per un volo sereno. Se no, o trovo qualcuno con cui parlare (difficile), o passo il tempo a occhieggiare i vicini e a contorcermi cercando una posizione rilassante che so bene non esistere; peggio ancora, potrei mettermi a pensare a tutti i pulsanti interruttori rubinetti manopole maniglie che potrei aver lasciato in una posizione leggermente e terribilmente diversa da quella sicura. Senza naturalmente farmi mancare l'immaginario audio e video delle possibili conseguenze di queste dimenticanze, in puro stile catastrofico-hollywoodiano.

Le prime volte, l'aereo era più entusiasmante, fin dall'inizio: il decollo che t'incolla al sedile, l'ascesa che ti schiaccia e in pochi minuti rende tutto quello che ti è più famigliare nuovo e irriconoscibile, con quella strana scala tra l'1:1 e lo stivale sulla cartina. Strade, città, fiumi, montagne, come posti appena scoperti, con ancora tutti i nomi da metterci sopra. Poi si scende, sempre più veloci, tra le case, i giardini e le automobili, sempre più giù, sempre più giù, senz'ombra di aeroporto fino all'ultimo, ecco lo scossone, la frenata, l'applauso (no, non lo faccio più).

Alla lunga però, persino il mare di nuvole diventa un'abitudine, e il desiderio più grande diventa che in qualche modo il volo duri poco, e si sia al più presto dall'altra parte. Ci sono ancora alcuni spettacoli che una giornata serena può concedere: le Alpi, venerandi vecchietti imbiancati che vedendo passare parecchi metri sopra di loro bambinoni pasciuti come me senz'apparente sforzo, sembrano brontolare “ai miei tempi...”; la campagna inglese, quella donna un po' noiosa e sicuramente non appariscente ma sul cui ruvido affetto senza fronzoli puoi sempre contare...

Nel vano tentativo di vendermi qualcosa, Ryanair mi sveglia. Ma sono sicuro che il volo ormai volge al termine.

“OMMIODDIO STIAMO VOLANDO!!!!”


I malvagi e la polarizzazione

Spesso mi ritrovo a scervellarmi su una questione, tanto vecchia quanto irrisolta: esistono i malvagi? Quelli in stile Disney? Quelli che sono cattivi punto e basta, vogliono solo distruggere il mondo e chi s'è visto s'è visto? Senza un briciolo di umanità?
E se esistono, sono mostri alla Mary Shelley, nati puri e poi inquinati dalla società scellerata, oppure sono malefici fino al midollo, nati col sangue acido, piccoli otri di fiele fin dal primo vagito?

L'esistenza dei malvagi è stata postulata da molti, ed è alla base di una diffusa visione del mondo, indubbiamente attraente in quanto semplice e funzionale. Si potrebbe riassumere così: "il mondo fa schifo perché i malvagi si danno un sacco da fare, e noi (i buoni) dobbiamo difenderci e far prevalere i nostri giusti principi, ispirati da [inserire qui una qualche divinità o un'alta autorità morale]". A parte per il parametro libero (l'autorità di riferimento), che ha un ruolo marginale, le diverse varianti di questa visione si differenziano perché identificano il nemico - la classe dei malvagi - ora con una categoria, ora con un'altra.
Per esempio, i leghisti identificano i malvagi con gli stranieri che vengono a rubarci il lavoro, o i terroni che non hanno voglia di lavorare; per altri, i nemici sono i giudici, oppure i baroni che intessono parentopoli come ragnatele, raggrinzendo l'università o la pubblica amministrazione con la loro sete di denaro; i malvagi possono essere anche i politici, i capitalisti, i berlusconiani, quelli che fanno antipolitica, quelli che non votano il PD, o anche i rossi di capelli.
L'assunto fondamentale che rende queste visioni così attraenti è che l'eliminazione dei malvagi di per sé sarebbe sufficiente a ristabilire l'ordine e il benessere.

Ora, prima di aderire ad una di queste visioni così semplici, che mi libererebbe da ogni ansia e ogni dubbio, che mi farebbe risparmiare sulle sedute dall'analista e sugli antidepressivi, non posso che soffermarmi e chiedermi, appunto, se i malvagi possano esistere oppure no.
Del resto, di opere malvage ne vediamo tutti i giorni: diritti calpestati, dignità ignorate, canzoni pop degli anni ottanta, ogni giorno sentiamo e vediamo prove apparentemente inconfutabili dell'esistenza della malvagità.

Nonostante ciò, fatico ad abbandonarmi all'idea che esistano persone dall'umanità talmente atrofizzata da escogitare e perpetrare in piena autonomia e lucidità abomini come quelli che mi rattristano ogni volta che masochisticamente affido il mio umore alle pagine di un giornale.

Può essere che le persone, in fondo, non siano così stronze. Magari sono un pochino stronze, ma in ultima analisi sono semplicemente mosse ognuna dai propri sentimenti e dai propri interessi personali, che per lo più si limitano alla soddisfazione dei bisogni primari e alla ricerca di un minimo di benessere e di qualche piccola fonte di realizzazione personale.
In una visione estremamente semplificata, potremmo schematizzare così le volontà di un gruppo qualunque di persone, immerse nel candido spazio socioeconomico:
Ogni freccina rappresenta la volontà di una persona. In generale ciscuna è rivolta verso un obiettivo diverso, indipendente da quelli degli altri, sia esso la soddisfazione di un desiderio, di una curiosità, l'allontanamento di una paura, o quant'altro.
La società contemporanea richiede che gruppi di persone che non si conoscono si mettano insieme per fare un lavoro comune, sia esso utile, per esempio produrre profilattici, oppure totalmente insensato, come produrre pubblicità di diverse marche di profilattici identici per proprietà e funzionalità. Si ha allora una società, una cooperativa, un'azienda, eccetera, in generale un'organizzazione, che possiamo rappresentare in questo modo:
In linea di principio si potrebbe pensare che, a parte il fatto di lavorare tutti sotto lo stesso tetto, per lo stesso capo, e produrre tutti profilattici o graffette o gelati o bombe a mano o servizi per le aziende, ogni volontà continuerà bene o male a cercare di farsi i cazzi suoi, non solo quando esce da lavoro e va a spendere i soldi guadagnati senza un criterio preciso.
Quello che ovviamente succederebbe in tal caso, però, come si evince facilmente dal disegno, è che l'organizzazione "Rettangolino Blu" non andrebbe da nessuna parte, perché ogni suo membro spingerebbe in una direzione casuale, e l'effetto totale sarebbe nullo.
Ci vogliono quindi degli strumenti per "polarizzare" le volontà dei membri dell'organizzazione, che permettano di ottenere la situazione rappresentata qui sotto:
Le frecce lunghe orizzontali rappresentano la forza esterna, che chiameremo in modo suggestivo "polarizzante", che agendo sulle volontà dei membri dell'organizzazione Rettangolino Blu ne modificherà la direzione preferenziale (si noti che le freccine continuano ad essere disposte in modo casuale, ma la maggioranza è almeno parzialmente rivolta nella direzione della forza polarizzante), risultando in una capacità netta del Rettangolino Blu di spostarsi in una direzione definita dello spazio socioeconomico. Più la forza polarizzante sarà efficace, maggiore sarà lo spostamento netto, che determina la produttività dell'organizzazione Rettangolino Blu.

Un esempio di forza polarizzante particolarmente efficace è, come si diceva più sopra, l'identificazione di un nemico. Così, per esempio, Scientology, i Testimoni di Geova o Lotta Comunista reclutano i loro adepti: il nemico sono i miscredenti; la loro eliminazione si realizza nella conversione alla propria dottrina.

Non è necessario (sebbene non si possa escludere) che ci siano dei singoli membri di un'organizzazione la cui volontà sia rivolta esattamente nella direzione della forza polarizzante: il risultato netto sarà comunque lo stesso, sebbene l'efficienza con cui viene raggiunto possa dipendere dall'efficacia della forza polarizzante sui singoli individui.

Per fare un esempio concreto, non è necessario che nella Nestlè ci siano singole persone che realmente desiderano distruggere intere foreste indonesiane per ricavarne l'olio di palma; analogamente, non è necessario che in Enel ci siano singole volontà volte alla distruzione della terra degli indios della Patagonia per la creazione di bacini idrici. Basta che una parte maggioritaria delle persone che hanno potere decisionale all'interno di queste organizzazioni non si opponga a ciò, e che la forza polarizzante (in questo caso detta anche "massimizzazione del profitto") volga in quella direzione, per cui questo avvenga.

Per concludere questo ragionamento, possiamo quindi dire che non è necessario che ci siano gruppi di persone malvage perché il mondo faccia schifo. È sufficiente che un certo numero di esse, non molto consapevole, si unisca per uno scopo comune (non necessariamente totalmente condiviso da tutte) per fare un sacco di danni, tanto più efficientemente quanto più siano mosse da un elemento polarizzante efficace - che si basi sulla paura, sull'avidità o su altri sentimenti semplici e diffusi.

Invece che l'eliminazione dei malvagi, in questa visione l'elemento cruciale potrebbe quindi essere la diffusione della consapevolezza, che ovviamente è molto più complicata.


Ecco perché molti di voi preferiranno aderire alle visioni di cui sopra: è la forza della semplificazione.
Non vi resta che mettere le sbarre alle finestre e addossare tutte le colpe al nemico - vivrete felici e contenti.

I speak italiano


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Achtung: il testo seguente potrebbe contenere tracce di invidia.

Una progenie di piccoli demoni si aggira per l'Europa. Non si distinguono per luoghi di aggregazione né per professione, che comunque molti di loro non hanno nemmeno ancora intrapreso; si mescolano con nonchalance alla gente comune che ignara condivide con loro momenti di vita ordinaria, senza nemmeno accorgersi della loro abissale distanza da una qualunque condizione di normalità che pure si ostinano a ostentare. Ma per accidente, gusto o misteriosa vocazione, questi diabolici poltergeist amano passare le loro esistenze in una sorta di perenne Tour d'Europe, pertanto è più facile incontrarne su mezzi di trasporto o stazioni di qualche genere, bus, treni, navi... io personalmente li trovo spesso in aeroporto. Hanno l'aspetto di teneri bimbi, magari in fila coi loro genitori a un check-in o in attesa d'imbarco. Quelli più innocui passano gran parte del loro tempo a succhiare dal biberon. Gli altri, più cresciuti, giocano o si lamentano con la loro mamma, poi si rivolgono al papà in un'altra lingua.

Beninteso, non parlo di quel goffo e grottesco accrocchio di quattro parole e regole che ci ficcavano in testa alle medie; nemmeno della capacità di capire ed esprimersi e comunicare in un'altra lingua (dopo anni di tentativi!), che però più che nascondere quella originale come uno dei travestimenti di Sherlock Holmes, la tradiscono come un costume da Pulcinella. Parlo di una seconda madrelingua (o padrelingua?), talmente indistinguibile dalla prima per naturalezza e correttezza che l'assegnazione di una qualsiasi gerarchia risulta puramente arbitraria; parlo di bilingui. Un'élite di scriccioli oggetto di un'immeritata grazia: ad esempio quella di avere padre inglese e madre italiana, o viceversa, o di qualche altra bizzarra scelta parentale che li porta a parlare due lingue tout court, senza nemmeno accorgersi di passare da una all'altra con la stessa semplicità con cui camminando si mette un piede dietro l'altro. Anzi, per alcuni (quelli ancora in passeggino) con una semplicità maggiore. Un background notevole, non c'è che dire. Mi fermo ad ascoltarli: sbagliassero un congiuntivo, pronunciassero male un gn o un gl, facessero un maccheronismo, un phrasal verb scorretto... niente! Sono alieni, vi dico! 

Nuova regia, vecchia scuola

Antipast di post ma post old school, come i primi apparsi sul blog. Cinestetismi e guerra per finta.

Le pratiche burocratiche le trovate qui.
Io adesso cazzeggio perché è da molto (troppo, troppo, troppissimo) che non sbatacchio sulla tastiera con gli occhietti umidi e traboccanti gratitudine verso il Nostro Affezionatissimo Austriaco da Combattimento (da ora in avanti NAAC).

김지운 è l'artefice di tutto ciò ed è il regista sudcoreano che ha diretto The Last Stand, uscito (?) a febbraio nelle sale italiane. Il fortunello ha avuto modo di scatenare NAAC, lasciandoli tutta la libertà necessaria per mettere a disagio l'intero set e la produzione.
Ne è valsa la pena. Ne è uscito un temino di tutto rispetto.

Vai con l'antipast!
Tema: L'autobus che mi porta a scuola.

Levataccia.

Ogni mattina Ottaviano, l'autista dello scuola-bus, ci viene a prendere alle 7:30. Ottaviano è amico mio e ogni giorno mi saluta sorridente. Martina ed io siamo i primi bambini che salgono per andare a scuola. Martina si siede sempre accanto a me, così ogni giorno posso farle vedere i miei disegni.
Mia mamma mi prepara la cartella (anche due o tre, se non mi alzo in fretta...) e il cestino con il pranzo. Lei dice sempre che fa fatica a tirarmi giù dal letto e che sarà anche peggio quando scoprirò la pubertà.

Ogni volta che il clacson si guasta, Ottaviano deve inventarsi una soluzione.

Posso rimanere seduto vicino a Martina per cinque fermate al massimo, perché quando sale Cosimo mi devo spostare in un altro posto. Cosimo non mi piace per niente. Dice sempre che Martina è roba sua, più o meno come qualsiasi altra cosa io riesca a immaginare. Non so mai cosa dirgli e neanche Martina. Se non riesco ad alzarmi in fretta, Cosimo sputa la cicca e me la incolla tra i capelli. Per questo motivo, la mamma mi ha rasato, così adesso potrò levarla alla svelta. Papà non è d'accordo con la mamma. Quando mi ha visto rasato ha lasciato a metà la sua lattina di birra ed è andato subito a comprarmi un regalo. È un regalo un po' strano, una specie di guanto che non avevo mai visto, tutto luccicante come l'oro, che copre solo la prima parte delle dita. Papà ha detto che serve a regolare i ragazzini e che quando sarò più grande dovrò tenerlo sempre con me.

Ottaviano dice che i ritardatari li dovrebbero bruciare tutti. Questo mi fa riflettere.

Quando arriviamo a scuola, scendiamo tutti dall'autobus e salutiamo Ottaviamo. Quando non mi legano insieme le stringhe delle scarpe posso restare un minuto a parlare con Ottaviano e lui mi racconta di quanti ratti riesce a colpire con la sua pistola o di tutte le sue amiche che lo vanno a trovare dopo la scuola. Voglio chiedere a mamma e papà di regalarmene una (amica o pistola, va bene uguale) o almeno di portarmi a casa di Ottaviano per vedere come fa lui.
Ho deciso: da grande voglio diventare proprio come Ottaviano. Come si può fare, signora maestra?

Giardinaggio dopo scuola. Dobbiamo dare il ramato ogni primo del mese.