Impressioni di una breve visita a un luogo molto lontano
Per quanto mi riguarda, ho visto almeno due Uganda, nominabili coi posti in cui ho trascorso la maggior parte del mio tempo: a Morulem, nel nord-est, le comodità sono pochissime, viaggiare un lusso e la natura, selvaggia o coltivata che sia, la fa da padrona, svolgendo lunghe giornate in una quiete solo sporadicamente sospesa da un po' di pioggia irruenta o dall'attività umana, a sua volta poi ricoperta da una notte stellatissima e fitta di conversazioni animali; a Kampala, la capitale nel sud, un groviglio di cose e persone, odore forte di gasolio, suoni e luci notte e giorno. Vorrei scrivere qualcosa su quest'ultimo volto ugandese, che è quello che più mi ha colpito, forse anche a causa del fatto che è il primo (e l'ultimo) di cui ho avuto esperienza.
Innanzitutto però ritengo necessaria una premessa. Per
quanto banale, inflazionata, provinciale possa sembrare tale
affermazione, in tutta onestà devo ammettere che non appena sono
sceso dall'aereo mi sono sentito letteralmente in un altro mondo. Non
si scappa: a partire dal colore della pelle, passando per la statura,
i tratti del viso, il suono della voce, il modo di salutare e
parlare, fino a quello in cui si pensa e oltre, a ogni passo
l'esperienza più evidente è quella della differenza, che
naturalmente è a doppio senso. Questo rende l'incontro molto più
interessante ma fatalmente diventa altrettanto difficile raggiungersi
e capirsi, specialmente nel brevissimo tempo che ho potuto dedicare a
questa terra. Quello che posso permettermi dunque è soltanto un
racconto semiserio, sicuramente parziale e molto superficiale,
costruito su percezioni rozze e pesantemente filtrate da preconcetti,
aspettative, assunti che non ho fatto in tempo a riconoscere e
separare dai ricordi.
Non riesco a dire che Kampala è una città, visto
quanto è differente da quello che mi figuro nella mente quando penso
a quella parola. Di sicuro ci vive moltissima gente, che affolla
marciapiedi e strade per gran parte delle ventiquattr'ore; però si
cozza subito contro una diversità notevole: proprio le strade. Solo
le vie principali sono asfaltate (spesso alla buona), il resto è
sterrato, e dissestato in un modo che non sarebbe buono nemmeno per
farci del rally. Spero si cominci ad apprezzare come, da buon
milanese nato e cresciuto nel caro vecchio catrame, i due concetti di
città e sterrato facessero a botte nella mia piccola e umile
testolina. La viabilità è inesistente: certo, compare qualche
semaforo, di certo funzionante, ma in linea di massima si passa
quando si può, e lo spettro della possibilità è molto più ampio
di quello a cui ero abituato. D'altro canto, è perfettamente normale
rimanere chiusi e fermi e in coda nella propria auto, una in una
folla di veicoli che sembra ogni volta irrealisticamente folta, ad
aspettare che il puntualissimo ingorgo si risolva, magari con l'aiuto
dei pochi e poco efficaci (probabilmente senza nemmeno molta colpa)
vigili urbani. Camminare, come ormai si può immaginare, non è più
semplice: quando non ci si riduce a saltellare sulla terra rossa a
fianco della strada, terrorizzati dalla vicinanza delle auto in
corsa, si procede guardinghi su marciapiedi costellati da tombini
lasciati aperti per motivi poco chiari e meno convincenti.
L'attraversamento stradale è poi un vero e proprio avvenimento
teologico: la fede del pedone che incontra la grazia
dell'automobilista (o motociclista). Mi piace pensare che siano state
proprio queste condizioni ambientali ad aver plasmato e dato alla
luce una creatura nuova, simbiosi tra uomo e 125 in grado di
affrontare spavaldamente le sfide del suo habitat: il boda-boda.
Il boda-boda è il servizio taxi su moto di Kampala.
Moto di piccola cilindrata, variamente decorate, molto affezionate ai
loro padroni. I boda-boda si muovono in sciami, di cui hanno anche il
caratteristico suono. Più spesso li si può trovare fermi ai margini
di qualche viale, in attesa di clienti. Si volesse approffitare del
servizio, è buona norma contrattare sul prezzo, come da copione per
quasi ogni transazione commerciale in Uganda. Una volta raggiunto un
accordo, ci si accomoda sul paurosamente ridotto spazio posteriore,
ci si aggrappa a quel che si può, e comincia la danza. Non saprei
come altro definire il destreggiarsi di questi centauri tra il già
citato delirante traffico della capitale, sempre al limite del
contatto, sia con un'altra moto, con un'auto, con un pedone.
Naturalmente questi uomini hanno una grande esperienza e sanno cosa
possono permettersi. Tuttavia, credo sia necessaria una certa dose di
spericolatezza per sfrecciare in quel modo, prendersi quella
precedenza, divincolarsi da quell'incrocio intasato, schivare quel
passante. Immagino che gli incidenti succedano, ma io non ne ho visto
nessuno, il che è molto meno di quello che mi sarei aspettato poco
dopo essere salito in moto. Inutile dire che sono arrivato a
destinazione sano e salvo e, confesso, piuttosto divertito. Dopotutto
per me occidentalone viziato è stato più o meno come un giro su una
qualche attrazione da luna park, mentre per queste persone è il
lavoro di tutti giorni. Però mi piace pensare che, nonostante i
passi complicati e rischiosi, la polvere rossa in faccia, il diesel
nelle narici e sicuramente profitti non particolarmente rilevanti,
questi ballerini siano contenti della loro danza: è pur sempre un
modo molto poco banale di muoversi, il che è necessario a una buona
vita quasi quanto respirare e purtroppo molto meno spontaneo. Come se
volessero confermare la mia silenziosa supposizione, li vedo ridere
sonoramente. Ma d'altronde da queste parti è quasi un vizio.
Probabilmente non sceglierei di vivere a Kampala. Sembra
quasi che qualcuno abbia deciso di fare l'esperimento di mettere
nello stesso posto più gente possibile e vedere cosa ne viene fuori:
spero si sia capito che il risultato non è niente di tranquillo. Mi
sono scoperto piuttosto affezionato alle mie regole, alle mie
comodità, conosco chi mi accuserebbe di essermi imborghesito. Allora
mi prescriverò una profilassi anti-apatica. Il più spesso
possibile, una buona dose di boda-boda dance: ignorare le distanze di
sicurezza, sfruttare tutto lo spazio, non lasciarsi rallentare,
finalmente arrivare a destinazione.
Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:
Diciamo pure che i primi tre ingredienti della dance riesco ad amalgamarli abbastanza bene.
RispondiEliminaÈ il quarto che ancora, ogni tanto...
d'altronde il vento in faccia è sempre una bella tentazione
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