Stando in Uganda m'è capitato di pensare che la Terra potrebbe essere più simile a una costellazione che a un pianeta: un insieme di parti che sembrano essere collegate tra loro in un tutt'uno coerente, ma che appaiono così solo per il particolare punto di vista da cui le si guarda, mentre in realtà sono tra loro distantissime. Per questo le conversazioni in Africa possono tingersi di surreale con una certa facilità. Per esempio, ero ad Hawaci e raccontavo al capo villaggio della mia vita in Italia a Milano.
Mi chiede se ci sono alberi vicino a casa mia.
Bè, sì ce ne sono.
Che frutta ci cresce sopra.
Non ci cresce frutta.
E che mangiate?
Non sto dicendo che non si sappia cos'è un
supermercato, beninteso, è che le categorie dell'ordinario e dello
straordinario sono tutte sfalsate, il che rende interessante
praticamente qualsiasi argomento. Oppure si finisce a tacere per la
vergogna. Come quella volta in cui mi si chiede se voglio
un'arachide. Perché no. Al che vedo che ci si dirige verso un campo
di pianticelle verdi piuttosto anonime. Ne viene afferrata una,
tirata, eccole lì, le arachidi, tra le radici. E chi le avrebbe mai
pensate sottoterra. Credo m'abbia fatto bene passare pur poco tempo
con gente che fa crescere il proprio cibo, più che mettere insieme i
soldi per comprarlo. Gente che oltre a saperlo, ha l'esperienza del
fatto che prima dello stufato c'è la gallina, che prima del riso c'è
la pioggia, che la frutta sta sugli alberi, che bisogna trovar un
modo di liberarsi dalle cavallette, e così via. Sembrano banalità,
ma tenerle a mente dà una certa prospettiva riguardo a ciò che è
necessario e ciò che è soltanto comodo. E ricorda che non si è mai
imparato abbastanza.
Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua: