Diluito nell'infinito

La clessidra in orbita galleggia.
Il vetro mi riflette la sconfinata notte.
E la sabbia che non scorre.
E il tempo che sbiadisce.
La sua funzione diventa impercettibile,
così diluita nell'infinito.
Me la rigiro un poco tra le mani
e provo a percepire gli attimi.
Poi guardo in alto.
Il vuoto mi grida contro.
Mi grida di tornare indietro.
E il manto nero traforato di stelle
avvolge i miei nuovi sensi.
E suona. E vibra
E le stelle rintoccano sullo sfondo,
come un metronomo di luce.
Giustificano pianeti e soli,
potenti accordi cromatici.
Una sinfonia in stasi.

E la gravità e il magnetismo vibrano
come ance nel vento.

Ciao, Elisa

Oggi ho scritto sulla fanzine dei fantarock. Dopo quasi due mesi ci ho riscritto su. Mi è sembrato giusto ringraziare una persona che ha voluto partecipare al nostro sogno, nonostante la stanchezza e la malattia. Il ringraziamento è espresso lì, perché Elisa credette a tutti noi, ed è giusto che siano i fanta a parlare.
Io qui parlo per me. Oggi saluto questa persona che ci ha lasciato, forse, credo, solo per modestia ed equilibrio.
Ora non starò a raccontare aneddoti e ricordi, quelli restano miei, vi dirò solo che, con la sua morte, mi ha confermato quello che già avevo compreso mesi fa: l'atto di morire è fatto apposta per l'uomo e perciò non può essere nulla di malvagio. Nell'immaginario collettivo sembra l'esatto opposto, ma vi assicuro che, visto da vicino, non è affatto così. Ci tornerò su, quando sarà il tempo. Elisa era generosa e lo è stata anche questa volta. Ed ora, con i miei amici, voglio provare ricambiare come posso, e dedicarle le vibrazioni a venire, ogni volta che suoneremo insieme. 

Grazie!


900

Appena poco oltre il 900,
ancora troppo debole e scontato,
mi si sofferma, gonfio di sgomento,
l'occhio, malinconico, al passato.

E le speranze, diluite nel futuro,
invocano a gran voce, senza sosta,
quell'energia dal moto imperituro,
figlia dell'universo che si sposta.

E noi? Dispersi a ridere del niente?
Ebbene, mi rivolgo a voi!
Voi, teatranti di ogni gente!
Abbattete stanze e corridoi,

i muri e le prigioni
e tutto ciò che è marcio d'apatia!
Perché si disperdano nelle nazioni
i figli illegittimi dell'utopia.

Tollerare in convivere

"Al fin della ripresa, io tocco" anzi, Mi tocco! Pare proprio il caso, e vi spiego il perché. Non sarà una cronaca, badate. Come sapete, non mi piace fare il cronista della vita, che sia mia o quella degli altri. Butterò pochi fatti e molte impressioni, sono la cosa che preferisco. I fatti restano fatti, se non ci si ricama su. Funziona così. Oggi è il primo giorno di tregua. Oggi la normalità ha ripreso il suo posto, quello che le spetta di diritto. Diritto semantico, o si chiamerebbe anormalità. Giusto? Bene. Strano però, vero? Guardate qua: la normalità e l'anormalità. Vi giuro: a volte sembra che l'unica differenza tra le due condizioni sia solo nella virgola svolazzante posta a tagliare l'articolo. Perché, questa settimana, le due si sono scambiate il ruolo! Solo in condizioni di Normalità (a meno di non chiamarsi Anna Frank, Primo Levi, Velerie ecc...) si può pensare di scrivere, e infatti così è. Riprendo solo ora. Ora che mio padre è tornato e mia sorella si è rimessa, posso riportare quanto ho capito. Credo che nelle situazioni meta-adrenaliniche o pseudo-adrenaliniche si diventi infaticabili, quasi invulnerabili. Pensate che, per la prima volta, sono riuscito a fare più cose insieme. Seccante riuscirci solo in condizioni più estreme, però. Dovremmo applicarci di più? Dovremmo esagerare, costruendoci l'anormalità apposta per spingerci ai limiti? Così, di getto, risponderei di no. Risponderei che, in fondo, il metro della naturalezza resta valido e che alzare le soglie di stress logora e addebita energia alla vita. Che fare, dunque? A questo punto mi viene una mezza idea... Si tratta della blasonata elasticità. O, in termini pratici, alzare la soglia di tolleranza, non di stress. Vale a dire che bisognerebbe allenarsi con tutte le sfighette quotidiane. Quelle innocue. Allenarsi a prendersele addosso come fa un masso dentro a un fiume. Dobbiamo sviluppare una superficie liscia e levigata dalla vita. Antigraffio. Non solo! Dobbiamo anche evitare di affezionarci a questa scorza, perché potrebbe arrivare qualche cosa di più denso e duro a scalfirla. In quel caso la pazienza aiuterà entrambi, noi e il fiume, a levigare e accomodare il danno. Tollerare a tal punto da non doverlo più fare. Trasformare il tollerare in convivere.